23 ottobre 2013

GUERRA E MUSICA AMERICANA


A differenza dei nostri alpini mandati in Russia con scarpe di cartone, i soldati americani dovevano sentirsi come a casa anche sui fronti di guerra. E dunque Coca-cola e jazz seguivano le Armate. Ne risultò uno straordinario fenomeno culturale: i Victory Disc dei soldati portarono la musica americana in Italia. Una pagina sconosciuta della seconda guerra mondiale.

Luigi Onori - Soldato Benny Goodman, in trincea con lo swing

Tre padelloni in vinile con al centro, su fondo bianco, la scritta stilizzata V DISC. I Victory Disc , dischi della vittoria, sono arrivati a casa mia per caso, dopo aver studiato sui libri (e verificato nei riversamenti su Lp e Cd) la loro grande importanza per la discografia jazz e per la diffusione della musica americana negli anni '40. Appartenevano al papà novantenne di un'amica che li aveva conservati con cura e che mi sono stati donati il mese scorso dopo la scomparsa del proprietario.

Quest'ottobre cade il sessantenario della «operazione V Disc» che portò in giro per l'Europa ed il Giappone (tra il 1943 ed il '49) otto milioni di dischi jazz, di musica classica e popular, abbinando l'azione liberatrice delle truppe americane con musiche che venivano dal nuovo mondo e conquistarono le popolazioni europee sofferenti dopo anni di conflitto, fame e dittatura.

Le truppe Usa nelle recenti guerre del Golfo ed in Afghanistan la loro musica (heavy metal, pop, rap...) se la sono portata dietro esclusivamente richiusa negli I-Pod di soldati ed ufficiali, per un uso privato e solitario. Le nuove tecnologie, dal walkman degli anni '80 in poi, ci hanno spinto verso un consumo gelosamente individuale, quasi autistico, della musica, depotenziando il valore comunitario ed eversivo che, ad esempio, ha avuto il rock negli anni '60 e nella prima metà dei '70.

Nel 1943 le forze alleate (inglesi, americani e russi, soprattutto) si battevano contro le dittature nazifasciste e l'imperialismo nipponico: la partita in gioco era mondiale ed il nemico non si arrendeva. Gli Usa avevano mandato in giro per il mondo un esercito di soldati ed ufficiali giovani, chiamati a battersi in condizioni difficili. Fu il capitano Howard Bronson ad avere l'idea dei V Disc nel 1943. Bronson si occupava del settore musicale nel programma ricreativo per le truppe. Propose una produzione discografica per i reparti al fronte che piacque subito agli alti gradi.



A realizzarla fu chiamato un altro giovane capitano, George Robert Vincent, che ebbe carta bianca, notevoli finanziamenti e avviò il tutto nell'ottobre 1943. Si trattava di mandare in Europa e nel Pacifico pacchi speciali con registrazioni ed apparecchi per ascoltarle, puntine e testi di canzoni al fine di tenere alto il morale e far sentire i soldati più vicini al mondo ed agli affetti che avevano lasciato, nonché di propagandare indirettamente la «american way of life».

C'era, però, un difficile problema da risolvere: dal 1942 era in atto un blocco delle registrazioni sostenuto dal sindacato dei musicisti (AFM) per una questione di diritti; dallo sciopero (durato fino al 1944) erano esclusi solo i complessi con cantante ma riguardava tutte le formazioni strumentali. Vincent trovò un accordo con il potente leader dell'AFM (l'italoamericano James Petrillo): le incisioni per i V Disc non avrebbero avuto scopo di lucro, i musicisti avrebbero suonato senza compenso, a fine conflitto le matrici delle incisioni dovevano essere distrutte, studi di registrazione e tecnici avrebbero lavorato a titolo gratuito. Fu così che si iniziò a produrre e distribuire un «catalogo» che sarebbe arrivato (maggio 1949) a 2654 matrici raggruppate in 1195 dischi stampati in otto milioni di copie. Un'operazione immensa.

Le case discografiche collaborarono attivamente mettendo a disposizione incisioni già in archivio e nuovi materiali: musica classica, da banda, popular, canzoni, jazz. La seconda metà degli anni Trenta aveva visto il trionfo dello Swing, trascinante musica da ballo di linguaggio e matrice jazzistica che aveva avuto fra i suoi eroi Benny Goodman e Count Basie. Nei primi anni Quaranta era ancora la musica più amata dai giovani, insieme alle languide canzoni interpretate da voci come Frank Sinatra e Peggy Lee. La componente jazzistica nel programma varato dall'esercito americano risultò, infatti, essere del 32%. Vennero tra l'altro realizzate nuove sessioni di incisione che avrebbero influenzato presente e futuro: si costituirono all-stars, formazioni che nella realtà non avrebbero mai avuto occasione di suonare (ad esempio un ottetto con Charlie Sheavers, Trummy Young, Don Byas) ; si crearono gruppi misti, interrazziali, impensabili negli Usa segregati e che solo Benny Goodman aveva avuto il coraggio di proporre in pubblico; si diede il via alla riscoperta del jazz delle origini (facendo reincidere la Original Dixieland Jazz Band); si documentarono una serie di «modernisti», dal trio De Franco / Marmarosa / Krupa all'orchestra di Buddy Rich. Molto lo spazio per le cantanti, con siparietti parlati in cui si rivolgevano direttamente ai soldati come nel Baby, Won't You Please Come Home dell'aprile 1945, registrato da Jo Stafford with her V-Disc Boys.



I produttori dei V-Disc (militari e civili) avrebbe giocato nel II dopoguerra un ruolo importante nelle case discografiche americane, sfruttando una preziosa esperienza accumulata negli anni bellici. I Dischi della Vittoria ebbero, comunque, non solo il merito di documentare il jazz durante il periodo dello sciopero discografico e di colmare in parte un 'silenzio' che sarebbe stato clamorosamente interrotto dai boppers, guidati da Dizzy Gillespie e Charlie Parker. I V Disc furono anche il laboratorio tecnologico per la compressione dei solchi (più spazio rispetto ai 78 giri, circa venti minuti di musica), per l'uso di un materiale più resistente ed adatto alle condizioni estreme dei fronti, quel vinile che unito al micro-groove avrebbe portato al rivoluzionario avvento del 33 e del 45 giri: alla fine degli anni '40 in via sperimentale e poi trionfale nei '50.

Altrettanto significativo sarà l'effetto sulla popolazione europea, visto che i V Disc costituivano oggetto di regalo e scambio tra truppe americane e civili. Di colpo, dopo un lungo digiuno, la musica jazz americana risuonava nel Vecchio Continente a portare un messaggio di libertà e gioventù che andava di pari passo con i «liberatori». Piero Angela ha raccontato che da giovane passava nei bar della Versilia alla ricerca di V-Disc lasciati dai soldati mentre il trombonista Marcello Rosa ha narrato di lunghi viaggi per ascoltare a casa dei pochi fortunati quelle preziose icone sonore della modernità. Si può dire, inoltre, che la passione e lo studio del jazz, la nascita della discografia e della critica in Europa ebbero un forte e fondamentale impulso dai V Disc.

In Italia la città di Napoli fu un autentico epicentro per la loro diffusione e mi preme ricordare come uno dei più grandi collezionisti di V Disc mondiali è stato un italiano: Urbano Gaeta. Dietro sua sollecitazione e con il suo stimolo si organizzò alla Casa del Jazz di Roma nell'ottobre 2009 una giornata di studio e rievocazione storica («V Disc Day») che non ebbe la fortuna di vedere, a causa del male che lo portò alla morte. Ci si augura che la sua straordinaria collezione privata, un autentico pezzo di storia della musica e della storia tout-court, possa essere accolta in strutture pubbliche che sappiano valorizzarla. Sarà difficile in un paese che sottovaluta la cultura in genere e che nei confronti degli archivi sonori è, a dir poco, arretrato.


(Da: Il Manifesto del 20 ottobre 2013)

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