19 marzo 2024

BANDITI A PARTINICO

 




CONTRO CHI SEMINA MORTE

Diceva Danilo Dolci: "è disonesto usare i soldi dello Stato, che sono anche miei, per seminare morte." (Banditi a Partinico, Laterza 1955, Prefazione di Norberto Bobbio)  

E, secondo Danilo, non erano tanto i “banditi “ a seminare morte quanto lo Stato. (fv)

18 marzo 2024

TONINO GUERRA (1920-2012)

 


"Contento, proprio contento
sono stato molte volte nella vita
ma più di tutte quando
mi hanno liberato in Germania
che mi sono messo a guardare una farfalla
senza la voglia di mangiarla".

Tonino Guerra è stato poeta, sceneggiatore e scrittore romagnolo, deportato in Germania, nel 1944, nel campo di concentramento di Troisdorf. Lì iniziò a scrivere i primi versi in dialetto romagnolo che ricreavano perfettamente l'atmosfera di casa, profumi e ricordi lontani. Fu nell'immediato dopoguerra che pubblicò la sua prima raccolta di poesie. La sua carriera di prosatore neorealista iniziò più tardi, nonché quella di sceneggiatore, dimostrando di essere un artista multidisciplinare, alla stregua dei grandi umanisti del Quattrocento, esprimendo i temi della sua poesia nelle più diverse forme artistiche e vincendo numerosissimi premi.

DOMANI SI PARLA DI CAMILLERI A PALERMO

 


SI PARLA DI DANILO DOLCI ANCHE ALL' UNIVERSITA' DI PALERMO

 


In pochi anni si sono affollati tanti centenari di grandi educatori (Mario Lodi, 2022; Bruno Ciari 2023; Don Milani 2023) e ora Danilo Dolci e Franco Basaglia, 'scomodi' ieri e oggi, e in buona parte sconosciuti ai ragazzi.

Approfittando dell'evento di oggi dell'Istituto Gramsci di Palermo e della cortesia di Francesco Virga, ho pensato a un piccolo percorso per i miei studenti delle Lauree Magistrali. Ascolteremo, guarderemo alcuni filmati, leggeremo alcune pagine di Danilo Dolci, rifletteremo sulle 'parole degli altri'.

Non ci sarebbe stato motivo di renderlo pubblico se non fosse che mi piacerebbe sapere se almeno nelle scuole siciliane, almeno a Partinico, guardando in faccia i propri studenti e ragionando con loro, tanti piccoli 'operai della conoscenza' come me, stiano rileggendo 'Inchiesta in Sicilia', 'Racconti siciliani', 'Processo all'articolo 4' etc. Facciamolo tutti insieme, con semplicità, senza il grande esperto on line. 

MARI D’AGOSTINO, professore ordinario di Linguistica italiana nell'Università di Palermo. Dirige la Scuola di Lingua italiana per Stranieri 


DANILO DOLCI VISTO DA GOFFREDO FOFI

 





























Questo pomeriggio, al Gramsci di Palermo, Goffredo Fofi parlerà di Danilo Dolci. A me piace ricordare stamattina quanto ha scritto lo stesso Fofi sull'anomalo sociologo nel 1999 in un libro che mi è tanto caro: Le nozze coi fichi secchi. (fv)

17 marzo 2024

GARIBALDI VISTO DA MARIO PINTACUDA

 




A PROPOSITO DI FRASI FAMOSE

Mario Pintacuda


Quando andavo alle scuole elementari (nel periodo tardo neolitico), la parte storica del mio sussidiario - il nostro Wikipedia dell’epoca - era costellata di roboanti citazioni di “frasi famose”.

All’epoca si pensava che i bambini dovessero memorizzare le nozioni storiche consolidandole con delle “frasi ad effetto”, degli slogan “indimenticabili”, utili per “inchiodare” nella loro mente alcune situazioni. In effetti, grazie a questa impostazione, mi ritrovo ancora oggi a ricordare diverse “frasi storiche” che invece mi accorgo essere quasi del tutto ignote, ormai, non solo agli alunni, ma perfino a molti dei loro docenti, dirottati a loro volta fin da piccoli su altre metodologie didattiche meno retoriche e aneddotiche. Del resto, io stesso già da bambino ero ironicamente scettico su alcune “frasi famose” e mi ponevo dei quesiti irriverenti su molte di loro.

Gli esempi sarebbero tanti e partirebbero dal mondo antico; ma per queste epoche remote mi limiterò a un solo esempio, cioè alla famosa frase di Cesare “il dado è tratto” (ἀνερρίφθω κύβος, “alea iacta est”), ricordata in una drammatica pagina di Plutarco.

Come scrive il biografo greco, Cesare, prima di passare in armi il Rubicone e di iniziare così la guerra civile contro Pompeo, «rifletteva sull’entità dei mali cui avrebbe dato origine per tutti gli uomini quel passaggio, e quanta fama ne avrebbe lasciata ai posteri. Alla fine, con impulso, [..] pronunciando questo che è un detto comune a chi si accinge a un’impresa difficile e audace: “si getti il dado”, si accinse ad attraversare il fiume» (“Vita di Cesare” 32, 7-8).

Il bello è che Cesare era solo, a sentire Plutarco; infatti “a pochi aveva detto prima di seguirlo” e poi era salito “su un carro preso a nolo” (oggi avrebbe noleggiato un monopattino); giunto al Rubicone, era rimasto a riflettere “tra sé e sé”.

Così almeno credeva, non sospettando che nei pressi, dietro qualche canna palustre o fitto cespuglio, fosse appostato il testimone della sua frase storica, pronto ad annotarla e a trasmetterla ai posteri (ma non escluderei che Cesare si fosse accorto della presenza del testimone e che proprio per questo abbia pronunciato la frase: anche nell’antica Roma l’apporto dei “media” per creare consenso era ritenuto fondamentale…).

Per le epoche moderne gli esempi di “frasi famose” sarebbero innumerevoli, ma mi limito a citarne tre.

1) A Genova, dove sono nato, è stata sempre molto popolare (non certo per la sua esaltazione in epoca fascista) la figura di “Balilla” (Giambattista Perasso), il giovane undicenne da cui il 5 dicembre 1746 avrebbe preso avvio la rivolta popolare contro gli austro-piemontesi nel sestiere genovese di Portoria.

Che “Balilla” sia esistito realmente è documentato da un resoconto inviato al governo austriaco che riferisce come «la prima mano onde il grande incendio si accese, fu quella di un picciol ragazzo, che dié di piglio ad un sasso e lanciollo contro un ufficiale tedesco».

Dunque la popolazione genovese fu incitata all’insurrezione dal ragazzo, che scagliò una pietra contro un nemico e, nel farlo, pronunciò la sua celebre frase storica, prontamente annotata da qualche potenziale insorto appostato alle sue spalle: «Che l'inse?».

Il grido, poco chiaro, dovrebbe voler dire "La comincio?" cioè "Volete che cominci [la rivolta?]"; ma un cronista dell’epoca (Giuseppe Maria Mecatti) scrive invece che voleva dire “La rompo?” e fosse riferita alla pietra (da “rompere” in testa al nemico).

Qualunque sia il significato dell’espressione, resta il fatto che da quel lontano 1746, ogni volta che i ragazzi “zeneixi” hanno preso a pietrate i loro antagonisti (cosa avvenuta piuttosto spesso, specie intorno al 1968), non è mancato da parte loro un propiziatorio “Che l’inse?”.

2) La seconda frase storica è “Tiremm innanz”, pronunciata nel 1851 dal patriota milanese Amatore Sciesa (che nome da gigolò!).

Si trattava di un umile tappezziere, che l’anno prima era entrato in contatto con alcuni gruppi clandestini che cospiravano contro gli Austriaci. Si era a due anni dalle famose “cinque giornate di Milano” e il feldmaresciallo Radetzky stava attuando una politica ferocemente repressiva per impedire altre rivolte. Sciesa, coinvolto nella diffusione di compromettenti manifesti rivoluzionari, fu arrestato vicino Porta Ticinese il 30 luglio 1851.

Condannato a morte in un processo sommario, fu condotto alla forca: in questa occasione, secondo la tradizione popolare, un gendarme, mentre lo portava al patibolo, avrebbe fatto passare il patriota sotto le finestre di casa sua, per commuoverlo e per esortarlo a rivelare i nomi dei suoi complici in cambio del rilascio. Ma Sciesa rispose fieramente: «Tiremm innanz» (“Andiamo avanti”); poco dopo fu fucilato.

Anche in questo caso non mancano altre versione dei fatti; ma, volendo dar fede a quella riferita, c’è da credere che la frase famosa dovesse essere pronunciata dal condannato in modo forte e chiaro, tanto da poter essere annotata e trascritta da qualche zelante cronista. E “tiremm innanz” è rimasto a indicare la cocciutaggine granitica di chi prosegue senza dubbi e tentennamenti per la sua strada, benché dolorosa e difficile.

3) L’esempio più significativo di “frase famosa” controversa, però, è ambientato in Sicilia.

Si narra che Giuseppe Garibaldi, il 25 maggio 1860, arrivato nel territorio di Marineo, tenne un consiglio di guerra a Gibilrossa (dove ora si trova un obelisco commemorativo) per decidere l’attacco a Palermo. In quell’occasione avrebbe rivolto al suo luogotenente Nino Bixio le famose parole: «Nino, domani a Palermo».

Ora, io mi sono sempre chiesto: chi ha trascritto queste parole? La Masa? Un altro garibaldino? Un abitante di Marineo? Bixio lo escluderei, perché sembra che non avesse troppa dimestichezza con la penna. E comunque, siamo sicuri che il testimone abbia scritto proprio tutto?

Chissà invece che la frase di Garibaldi, molto più pedestremente, fosse questa: «Nino, domani a Palermo ci mangiamo il pane con le panelle». In tal caso, il trascrittore avrà censurato la seconda parte della frase per non depauperare la nobiltà della celebre battuta; oppure, più banalmente, dopo avere annotato la prima parte della frase si sarà allontanato soddisfatto, senza captarne la successiva conclusione “a sorpresa”.

E semmai ci potremmo chiedere se Garibaldi conoscesse il pane con la milza, non meno appetitoso delle panelle.


GUTTUSO E IL CARRETTO SICILIANO